lunedì 16 settembre 2013

IL CERVINO, L'EGITTO E LA GRANDE PIRAMIDE DI CHEOPE


"Il Tempo sfida tutte le cose, ma le piramidi riescono a sfidare il Tempo"

però a me piace pensare che…

"La farfalla continuerà a librarsi sui campi e la goccia di rugiada brillerà ancora
 
sull’erba quando le piramidi saranno ormai seppellite " ( K.Gibran)


In attesa dell'aereo per il Cairo, con il mio amico Roberto, compagno del Soccorso Alpino
 
Dato che questo blog è solo un diario dei  miei ricordi, senza grossi confini,  voglio raccontarvi un episodio che mi è tornato in mente sfogliando delle vecchie fotografie del mio viaggio sul Nilo. Già lo avevo descritto brevemente nel post della mia prima esperienza di deserto, ma ho ritrovato altre foto e quindi forse è meglio descriverlo più dettagliatamente....
 
E’ un episodio molto leggero ed ironico e ci sta bene dopo il racconto molto triste del terremoto. E’ stata una bellissima vacanza, sicuramente molto comoda, che peraltro è stata quella che mi ha permesso di conoscere il deserto e di cui già ho parlato.
Al tempio di Hatshepsut
 
 Comunque la vacanza, eccezionalmente interessante dal punto di vista storico-culturale, era un po monotona, secondo i miei parametri di giudizio,   quindi dovevo giocoforza inventarmi qualche diversivo per renderla un po meno “piatta”.

Al tempio di Horus, il dio falco

 
Indubbiamente la crociera sul Nilo è un viaggio molto interessante che permette di immergersi nella storia più profonda delle nostre comuni radici e che andrebbe fatta, almeno una volta nella vita.
Un Ariete ( nato il 19 aprile) tra gli arieti del tempio di Karnak
 
 
A quel tempo, per questa vacanza, mi avevano convinto ad allontanarmi dalle vette e mi avevano trasportato nientemeno che nella pianura “più pianura che di più non si può”, visto che l’acqua del Nilo scorre con lentezza esasperante.
 
Dopo aver visitato lo splendido museo per Cairo con il tesoro di Tutankamon, ci avviammo con trepidazione a vedere le piramidi.
 
Saqqara, sullo sfondo la piramide a gradoni di Djoser
E finalmente eccole li, erano  le uniche catene montuose le cui cime svettavano al cielo. Tre monti dominavano la monotona e sterile piana.
 
Una montagna in particolare mi colpì…. non si poteva non salirla. Quattro spigoli perfetti si innalzavano al cielo con una inclinazione vertiginosa. Era la piramide di Cheope. La nostra guida ci introdusse alla tecnica di costruzione ed alla storia di detta meraviglia, ma….si distrasse un momento e io fuggii…
 
Il problema è che la salita è permessa solo per le prime file di blocchi, poi dei cartelli esplicativi in tutte le principali lingue ammoniscono coloro che volessero ulteriormente salire.  Una soluzione al problema doveva pur esserci. In Himalaya si chiede il permesso alle autorità che fanno capo al lama per salire una ben precisa cima, ma i buddisti sono lontani….Poi ebbi un “lampo di genio”. Facendo il giro della piramide notai che una faccia, quella opposta al parcheggio dei turisti, aveva i cartelli scritti solo in arabo.
 
 
“Cosa c’entra questo?” direte voi…aspettate un momento…. Pian piano, quasi per convincermi, cominciai a salire tra i blocchi e ben presto arrivai agli ultimi cartelli, messi come a guardia di un confine insuperabile. Ma la parola ” insuperabile” non è presente nel mio vocabolario e quindi…..superai immediatamente i cartelli. Arrampicare tra i blocchi non è così semplice come si potrebbe pensare.
Preferii quindi spostarmi sullo spigolo, il cui filo appariva più “rotto” e più facile da salire. Credo ci sia un tragitto ben preciso per salire, ma io non lo conoscevo. Alcuni blocchi sovrapposti sono allineati e quindi si devono salire  gradini di almeno due metri, partendo da minuscoli terrazzini.
 
Nulla di particolare, beninteso, ma neppure da sorriderci troppo. Un famoso alpinista, di ritorno da una spedizione himalayana, morì cadendo dalla Grande Piramide. Ora sono sullo spigolo, ai miei lati il panorama si allarga, salgo sulla scala degli dei verso il cielo, dove Iside e Osiride troneggiano da 5000 anni. Il vento del deserto asciuga il sudore, il suo immane calore alle 13 del pomeriggio,viene stemperato dall’assoluta mancanza di umidità. Dallo spigolo posso ammirare un panorama meraviglioso, la piramide di Chefren a fianco a me rivaleggia in altezza ma la sua cima , ma mano che salgo, a causa dell’inclinazione dei lati, si allontana sempre più dal punto in cui mi trovo e appare piccola, ma la sua mole è grandiosa.
 
Mi ricorda la mia salita all’Aguille Verte, in compagnia con i pilastri dei Drus. Salire sullo spigolo non è solo innalzarsi verso il culmine di un monumento, è salire nella storia. Ogni ordine di blocchi mi ricorda la fatica degli uomini e il genio dei costruttori che innalzarono una montagna che ha sfidato il tempo, che non ha inclinato il suo capo alle intemperie, al vento alle tempeste di sabbia. Mi sento uno scalatore che sfida il tempo, non una parete. Salgo inventandomi la via, tra blocchi che non hanno creato un sentiero percorribile, con diedri scivolosi, comodi terrazzini, paretine inscalabili che mi costringono continuamente a cercare nuovi percorsi.

 Man mano che salgo la larghezza delle pareti diminuisce e sopra di me si intravvede  il  culmine comune degli spigoli. Ma come avranno fatto a far coincidere gli spigoli in maniera perfetta? Questa riduzione della dimensione trasforma una salita in un volo, dato che il vuoto riempie sempre più la visuale. La Piramide di Chefren, la Sfinge, il Cairo, il deserto, tutto si apre  salendo.
 
Le due Sfingi

l vento sale rovente dalla base della piramide e la sua voce rimbomba nelle orecchie,  ora come un fischio, ora come un lamento…ora come un grido…..come un grido ?  Si…. come un grido, reale, talmente reale che mi fa tornare temporalmente alla realtà da cui mi ero distaccato per immergermi nei millenni. Un grido, vero…proviene dal basso, un urlo…urlano a me….porco cane…è la polizia che mi urla qualcosa di incomprensibile. Mi manca poco per la vetta ed è come una tempesta che impedisce agli impavidi scalatori di raggiunger la vetta agognata.
 
Mi ricordo che un’altra piramide, il Cervino, mi respinse a via della tormenta che si scatenò sul suo spigolo. La mia tempesta qui si chiama polizia. Non posso far finta di non aver sentito e mi accingo a interrompere la salita e tornare mestamente indietro….vi pare facile? La discesa è sempre più difficile della salita e scendere tra i massi scivolosi per la polvere si rivela una piccola impresa ed anche la pendenza non aiuta. Una scivolata si risolverebbe in un disastro. Già al 4 o 5 ordine di pietre mi accoglie la polizia la quale ora mi parla in un inglese che a me sembra perfetto. Io non conosco l’inglese e quindi le grida non sono  più comprensibili urlate in  lingua araba a cui inizialmente erano ricorsi, forse a via della mia pelle scura ben visibile dato che porto solo i pantaloncini..
 
Certo non posso essere scambiato per uno scolorito anglosassone !!!! Un poliziotto mi urla nelle orecchie con il solo scopo di mettermi soggezione, ma non sa che questo comportamento non ottiene minimamente l’effetto sperato. Gli rispondo in un arabo-italiano-francese alla Totò, ma che comprendono perfettamente con mia somma meraviglia. Gli spiego che avevo visto i cartelli, ma non ero stato in grado di decodificarli essendo scritti solo in caratteri arabi....capite ora a che servivano i cartelli solo in lingua araba? Gli spiego con calma che non ho potuto resistere al fascino della Grande Piramide e che io sono appassionato di montagne e di alpinismo e che tale passione, unita alla fiabesca storia degli antichi egizi, hanno fatto un insieme irresistibile.
 
Questi argomenti, con mio sommo stupore, ottengono il loro effetto. Si calmano, mi dicono che è loro dovere sorvegliare il monumento per evitare che i turisti possano ferirsi o morire nel tentativo di salire sulla piramide. Lo dicono quasi scusandosi. Nel frattempo il bus con tutti gli amici della comitiva è in attesa impaziente del mio ritorno, perchè questa giostra è si è protratta per decine di minuti tra identificazione ed interrogatorio. Finalmente, dopo avermi identificato (credendomi a voce), mi lasciano andare.
 
 Corro a perdifiato verso il pulman mentre tutti mi urlano ( anche loro….ma è una abitudine !!!!) che io sono sempre il solito…. Conclusioni : le piramidi ( Cervino, Cheope) mi portano sfiga…..ma non è finita qui....
 

giovedì 12 settembre 2013

LE SABBIE,LE ROCCE,IL TELESCOPIO,L'ESSENZIALE ED IL TERREMOTO



"Il Piccolo Principe" editrice Bompiani
Prima o poi ci dovevo arrivare…aivoglia a tentare di far finta di nulla !!!! Prima o poi sarebbe sorto improvvisamente dalla coscienza …. Ed ora eccolo li … IL TERREMOTO. Ma non preoccupatevi, parlerò poco del terremoto della nostra distrutta città, dei morti, della disperazione di un popolo. Del resto molti lettori hanno avuto questa triste esperienza e molti  non sono stati così fortunati, come me, ad uscirne indenni nonostante che il Terribile avesse fatto di tutto per far si che ci  lasciassi le penne. Ma questo post è nato da un fatto occasionale, non dalla volontà reale di parlare del terremoto. Ho accumulato molti scatoloni e casse di tutte le cose che ho potuto trasportare e le ho sistemate in una stanza di casa di mia madre. Pochi giorni fa ero intento a cercare l’ultima cosa che chiaramente non riuscivo a trovare. L’esperienza dei terremotati di tutto il mondo è quella di non trovare nulla di ciò che si è riusciti a salvare. In quei concitati momenti si mette tutto alla rinfusa nelle scatole e nei sacchi e si fugge via come ladri, sicuri di ricordare dove si posizionano le varie cose…..ma è una grossa ingenuità. La mente, in quelle drammatiche circostanze, non è certo all’altezza di fissare ciò che poi si vorrebbe ricordare. Per l’ennesima volta aprivo le scatole quasi seccato e sicuramente rassegnato a comperare nuovamente ciò che cercavo quando, da sotto il mucchio, ecco un' ultima cassa in cui cercare. La apro con una certa apprensione e malcelata speranza quando…..eccole li le bottiglie.

Le mie bottiglie ripiene di sabbia dei deserti. Eccoli li i ricordi, compressi come un tappo di champagne che ora esplodevano in aria inondando tutta la stanza. Come un proiettore tridimensionale crea un ologramma, così si materializzavano nel parallelepipedo ristretto della stanza le dune del Thar, le colline sabbiose del Wadi Rumm, le sterminate distese roventi di El Thi. Accarezzavo le bottiglie e, magicamente, come dalla lampada di un genio , così sorgevano reali le piane dell’Amboseli con il Kili, le fiabesche ondulazione del Grande Erg Sahariano e le barcane dell’Erg Ghilane.  Le bianche pareti della stanza si dilatavano per fare posto al deserto. Esse si allontanavano da me come un Big Bang e lo spazio si espandeva dilatandosi all’infinito, facendo posto ai ricordi che non hanno confini. Le avevo conservate gelosamente nella mia casa, man mano che le riempivo e che traversavo i deserti e le avevo messe a bella posta sul mobile del ‘600 che era in salotto. Sulla cassapanca, vicino al divano c’erano le pietre delle montagne che avevo salito.

Montagne sacre del Mediterraneo, dell’Africa e dell’Asia, meteoriti, lave, sale… tutto in un grosso vassoio d’argento facevano bella mostra di se. Io mi allungavo sul divano, dopo pranzo e mentre udivo le notizie del tg, guardavo le sabbie e le pietre e la mia mente tornava laggiù, tra le sconfinate lande desertiche, dove l’animo umano si perde solo perché non sa confrontarsi con il NULLA. Rimiravo le pietre dei luoghi sacri, dei  terreni  vietati agli uomini, montagne di pertinenza degli Dei, del Dio di tutti i viventi, dei Jinn, delle Nuvole, del Sole… e mi perdevo, ogni giorno…. Poi un di tutto tremò, un solo istante. Fuori era il gelo, fu quasi un tremito di freddo della Terra, senza paura… passarono i giorni e le scosse si susseguirono. Io iniziai a interessarmene anche in maniera scientifica e cominciai a tenere sotto controllo le faglie, la profondità, e la quantità  di energia liberata. Man mano che passavano i giorni  le scosse riducevano i tempi di intervallo, contestualmente aumentando l'energia complessiva e mi resi conto di essere sempre più vicino ad un evento disastroso. Nonostante le rassicurazioni delle autorità, io cominciai a prepararmi. Tutti coloro con cui parlavo deridevano questo comportamento, derivato, a loro detta, dalla paura, ma io non avevo paura, semplicemente mi preparavo all’evento. Forse gli altri avevano paura, talmente terrore da escludere totalmente l’eventualità di una scossa disastrosa. Studiai la mia casa e istruii la mia famiglia in quali punti dovevano ripararsi in caso di grandi scosse. Preparai caschi con lampade frontali per tutti e li misi sulla cassapanca dell’ingresso.  Ad ogni presa di corrente inserii lampade che si accendono automaticamente. Dato che abitavo al terzo e quarto piano, preparai imbragature delle varie taglie, misi le corde a portata di mano e preparai più punti di ancoraggio, nel caso di crollo delle scale. La porta blindata rimaneva socchiusa durante la notte ad evitare che ci intrappolasse in caso di deformazione del telaio.  La macchina era sempre parcheggiata in zone di sicurezza e dentro c’erano tende, viveri, vestiti, acqua, potabilizzatori, una radiolina. In un sacchetto tutti gli ori di famiglia. Cominciai a parlare, ad ogni occasione, dell’ineluttabilità dell’evento in modo tale che Franca ed Ilaria iniziassero a prepararsi psicologicamente. Quando reputai che le cose stessero precipitando, non tanto secondo considerazione scientifiche , ma piuttosto seguendo il mio istinto, dissi di dormire vestiti con tute, maglioni, lampade. Tutti,  a quel punto, sapevano cosa fare in caso di terremoto distruttivo, ma quello che più mi interessava era che erano preparati psicologicamente. Ed una notte, qualche giorno dopo…successe. Dapprima un tremito dolce, come eravamo ormai abituati a convivere, poi accelerò, accelerò, accelerò..... 
L'orologio fermo alle ore 3.32
 
Partì come un missile interplanetario. Un urlo agghiacciante come mai lo avevo sentito. Un urlo terrorizzante più dello scuotimento che aumentava fino a sbattere nella stanza tutti i  mobili, mentre bottiglie, piatti, bicchieri volavano come nel film di Walt Disney in “Topolino, apprendista stregone”. Io ero saldamente agganciato alla colonna portante e Franca , abbracciata alla mia schiena, sembrava una bandiera che sbatte colpita da venti di tempesta. Ma l’urlo, quello era ciò che più mi atterrì. La Terra era irata con gli uomini, gli urlava in faccia la sua rabbia. Come un gigante che ti affronta in una tenzone, così la Terra prendeva gli uomini, li scuoteva alle spalle con veemenza inimmaginabile e gli urlava in faccia il suo disappunto. L’urlo di battaglia più terrificante della storia, nessun esercito umano può emanare un grido simile. Ilaria aveva perso il suo aggancio e vagava sbattuta nella stanza evitando tavolo, credenza, divano che sembravano aver preso vita. Poi, improvvisamente,  l’immobilità, il silenzio, assurdo dopo tanto rumore, quasi più pauroso….Un istante, poi…bisogna agire. Andai a vedere se le scale erano crollate.

Tutti fecero ESATTAMENTE ciò per cui si erano preparati e uscimmo con i caschi in testa e le lampade accese. Io non mi resi conto di quanto avessimo agito velocemente per cui, passando nei piani inferiori e bussando, credetti che già fossero tutti fuori, mentre erano tutti nell’interno degli appartamenti, ancora inebetiti ed atterriti. Mentre scendevamo, i muri attorno a noi crollavano, le scale sconnesse cigolavano e si aprivano crepe sotto i nostri piedi, ma fummo velocemente all’esterno nonostante che sulle scale ci fossero un cumulo di macerie scivolose, come un  instabile brecciaio. Franca cadde su questo instabile "brecciaio" e si ferì ad una gamba. E' stato l'unico danno fisico che abbiamo riportato....Tutto era immerso in una nuvola densa di polvere, mista a gas e ad acqua. Era difficile guidare tra le macerie evitando massi e persone che uscivano dai palazzi. Ma non erano uomini, erano zombie, impolverati, insanguinati, barcollanti, urlanti.

Si muovevano come automi, a piccoli passi, sembravano senza vita. Forse il terremoto gli aveva risucchiata l’anima e l’aveva sotterrata nel profondo della faglia che si era aperta e richiusa come una tomba smisurata. Io dovevo salvare la mia famiglia. Erano molto probabili una o più repliche che avrebbero fatto definitivamente crollare ciò che rimaneva e io dovevo portare fuori tutti i miei, lontano dai palazzi, lontano dalle anguste vie della città. Per chi è dell’aquila, avrà sicuramente visto le pietre enormi che erano accumulate davanti al cinema Massimo. Ebbene, una pietra di decine di tonnellate cadde dietro la mia macchina quando passavo e la sfiorò posteriormente lasciando graffi ed ammaccature che non ho mai riparato, per scaramanzia. Bastava un centesimo di secondo di ritardo e….. ma non era arrivato il momento.
La strada passa a dx della porta lo dove c'è il muro crollato al mio passaggio
Proprio mentre passavo sotto porta Napoli, ci fu il crollo della porta perché intanto le repliche di cui avevo paura iniziavano a manifestarsi. Evitai le pietre scartandole di lato e fui fuori della città. Mi fermai, lasciai tutti lontano da un distributore e feci benzina. Una scossa terrificante agitò di nuovo la terra. La pensilina del distributore ondeggiò paurosamente, mentre il muro di cinta si sgretolava come un castello di sabbia colpito dalle onde. Guardi in alto, verso la città. Un fungo di polvere illuminato dalle lampade al sodio si alzava come lo fu quello di Hiroshima. Non mi dilungo perché ciò che successe alla città fu lungamento trasmesso dalle TV. Andai dai miei genitori e  attesi i miei amici che intanto iniziavano a connettersi telefonicamente. Il mio giardino si trasformò in lazzaretto. Feriti, malati, vecchi, mentre mia madre cucinava ogni genere di conforto. Una giornata uggiosa, triste, dormimmo tutti in macchina. Poi anche per Scoppito ci fu l’ordine di evacuazione, di andare al campo sportivo dove erano state erette le tende. Io, come Enea, presi Anchise sulle spalle e portai tutti a Pescara, nella mia casa del mare. Ora ero libero, non avevo più preoccupazioni. Rientrare a L’Aquila fu più difficile che agli ebrei di trovare la terra promessa.  8/10 ore di viaggio per tornare da Pescara.
 Tutto fermo, camion, gru, scavatrici, ambulanze, sirene, posti di blocco, crolli, ponti pericolanti, gallerie bloccate, treni immobili. Finalmente...ecco la mia casa.

Un muro esterno era totalmente crollato e lasciava vedere l’interno in un caos di muri, di pietre, di mobili rotti, confusi tra i mattoni. I pilastri distrutti come da una bomba inserita in essi, non mi lasciavano molta speranza. Una scossa poteva dargli il colpo di grazia ( La mia casa dovrà essere demolita e ricostruita).
I puntellamenti per evitare il crollo
Io avevo un biglietto che mi aveva dato Franca ed Ilaria con un’elenco di cose che dovevo prendere….scarpe, vestiti, argenti etc etc. Ero li fuori ed attendevo….
attendevo una scossa. Una scossa che mi avrebbe dato il tempo di salire e scendere senza pericolo, in attesa della successiva. Erano ore che non facevano scosse quindi adesso poteva essere  il momento, non poteva tardare, statisticamente. Poi un rumore, un brontolio, un tremito, qualche piastra e qualche mattone rotola giù dai palazzi. E’ ora il momento. Non ricordavo che le scale fossero così mal ridotte.
Le scale successivamente liberate dalle macerie e puntellate
Forse le tre scosse di 5.5 e le altre innumerevoli attorno alla mag.5 che si erano succedute, gli avevano dato il colpo di grazia. I muri attorno alle scale erano scomparsi, salivo su macerie. Il primo piano era totalmente aperto. Non esistevano più i vari appartamenti.

Tutto era un enorme appartamento con mobili ormai comuni tra i vari locali, altri mobili erano volati in strada dalle aperture dei muri, altri erano sulle scale. Ma dove andavo? Dove salivo? Valeva la pena rischiare la vita per prendere qualche bene terreno ? Sapete come il tempo può avere una durata variabile? La relatività insegna che più ci si muove velocemente, più ci si avvicina alla velocità della luce, più il tempo rallenta. Forse io salivo troppo velocemente, per fuggire le prossime scosse,  ecco perchè il mio tempo rallentava. Tentavo di comprendere e di scegliere ciò che avrei dovuto portare via. Forse sarebbero state le ultime cose perché il palazzo poteva crollare.

 Ma avevo tempo per farlo, il mio tempo rallentava, sempre di più, potevo pensare. Pensavo che solo ieri ero sceso da queste scale. Avevo avuto paura? Forse no, anzi sicuramente no, dapprima perché non ne avevo avuto il tempo, poi perché dovevo agire, e questo mi mette sempre al riparo dalla paura. Quello che mi terrorizza è l’immobilità, non poter fare, combattere, essere succube, imprigionato. Salivo verso un luogo che rappresentava per me il posto dove non avrei più potuto mentire. Li avrei dovuto scegliere cosa portare via. E quello che potevo portare via era ben poca cosa. Sembra un problema da poco quando si ha tutto, quando si può scegliere ora una cosa ed un minuto dopo un’altra cosa, ma ora il destino mi dava una sola possibilità.  Insieme alla mia casa, crollava la mia sicurezza, crollavano i tabù, i progetti, i sogni.

Solo ora, mentre salivo in un tempo senza tempo, in un etere offuscato come  in una tempesta di sabbia, mi chiedevo quanto la mia tenera carne potesse resistere all’impatto del mio rifugio, della mia casa che improvvisamente era diventata un nemico. Le pietre affioranti che un tempo avevano diviso il  “fuori”, cattivo, dal “dentro” buono, ora erano diventati soldati nemici che attendevano solo l’ordine della Terra per scatenarsi contro di me. Odiavo questa fragile casa che credevo indistruttibile. Quante sicurezze crollavano mentre salivo verso i piani alti.
L'appartamento, liberato dalle macerie, appare ancora più spettrale. Le porte si innalzano come alberi secchi in un deserto.....

Ma se un muro di cemento armato è così fragile, io come sono? Questa è la domanda che mi frullava nel cervello. Mi erano giunte notizie di molti morti, forse anche mio cugino ( poi notizia confermata). Pensavo a quanto siamo legati indissolubilmente al destino, quanto un nonnulla possa trasformare la vita in morte e viceversa, a quanto ci affanniamo per ottenere cosa? Ci affanniamo a correre  verso dove ? Forse solo verso il nostro traguardo comune….”a livella”. Ma ora per me “ a livella” ancora non aveva piallato la mia vita. Ancora ce l’avevo saldamente sulle spalle e la portavo con me.

 Dovevo prendere le cose indispensabili. La porta ancora aperta, tutto alla rinfusa, armadi vuoti, bottiglie rotte, odore di liquori gettati sui muri come un dispetto di giovani malintenzionati. I vestiti dentro l’armadio? Alla prima anta …. ma dov’è l’anta? Dov’è l’armadio? I documenti dentro il secondo cassetto….ma dove sarà andato a finire il cassetto? Vestiti sul pavimento, scarpe, lampade in un inferno inestricabile. Cosa trovare? Solo il divano era ancora li, al suo posto quasi per miracolo. Mi sdraio un istante, con il cuore in tumulto, attendo la scossa definitiva, i muscoli tesi, un affanno innaturale. Cosa porto via? E’ inutile scendere con quello che si può riacquistare, devo trovare qualcosa di veramente prezioso, di unico, di introvabile. Quello che potrei rimpiangere per sempre, se lo perdessi…Ecco, sto sdraiato, come prima del sisma in un giorno qualunque, guardo le mie sabbie…ma dove sono? Non c’è nemmeno il mobile. Un tuffo al cuore…ma poi uno spiraglio di luce.  Prevedendo la scossa avevo sistemate le bottiglie di vetro delle sabbie in un cesto all’angolo, sotto un robusto portariviste. Mi ci tuffo sopra….sono li intatte. Ecco cosa devo salvare. Le pietre invece sono sparse sul pavimento insieme a tutto ciò che poteva uscire dai mobili, in mezzo a vetri, ceramiche, terracotte, tutto rotto e frullato.

 Le ritrovo, una ad una. Questo è il mio passato….le foto, anche questo è il mio passato, ma non so dove siano andate a finire. Ma ho l’hard disk dove moltissime sono state digitalizzate ed è in mansarda. La porta del mio studiolo è bloccata dai crolli interni. Ho difficoltà evidenti a trovarlo, in un cumulo di cose irriconoscibili,  ma poi eccolo li, lo smonto e lo porto giù. Ora ho il mio passato, i miei deserti, le mie montagne, le mie foto, ma cosa ne sarà mai di me? Di noi? Cosa ci attende nel futuro? Qualunque cosa ci attenda, il futuro va vissuto, altrimenti è meglio abbandonare. E bisogna viverlo nel migliore dei modi, magari con le vecchie abitudini, con gli hobby, che rappresentano la vittoria contro il terremoto. Gli hobby sono quello che di più inutile possa inventarsi l’uomo, ma è quello che distingue l’uomo dalle bestie. Gli hobby non servono economicamente, servono solo a nutrire la mente, quella stessa mente che il terremoto ha tentato di distruggere.
Il mio gioiello Astrophysics 155 edf
Ed eccolo li il mio hobby più importante, il mio telescopio. Rappresenta la voglia di continuare, rappresenta il veicolo che mi può portare lontano, più lontano di un’automobile, più velocemente di un razzo. Lasciare li il telescopio significherebbe arrendersi al terremoto. Egli non deve vincere. Io ora ho il mio passato e il mio futuro. Avevo fatto questa scelta senza pensare, lasciando scegliere al cuore, non al cervello. Questo fallirebbe  quando si deve scegliere l’ESSENZIALE.

I VVFF che successivamente salirono con me, ogni volta mi chiedevano quanti morti ci fossero stati nel palazzo e non si spiegavano come fossimo rimasti tutti vivi e neppure feriti
La razionalità ci consiglierebbe di prendere i preziosi argenti settecenteschi, gli arazzi, i quadri seicenteschi, i libri del 1500, magari i documenti delle banche, tutte cose che hanno un valore economico, ma rappresentano solo quello che valgono. Quando tutto ti crolla addosso, e non solo i muri, quando credi di aver perso tutto, allora l’unica cosa che può salvarti è scrutare nel tuo cuore alla ricerca di quello che per te è veramente l’ESSENZIALE. Solo quello è lo scudo contro colui che ti ha tolto tutto, ma che non deve riuscire a toglierti la dignità, il futuro. Ora sono qui, dentro una casa che potrebbe crollare, una città distrutta, amici morti, un futuro incerto….questa è la realtà….ma questa è la realtà? I cinque sensi mi comunicano una verità terribile.

Ma ecco “Il Piccolo Principe”, il libro ancora a terra nella camera da letto, era perennemente sul mio comodino. “...Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi. ” . L’essenza non può essere percepita con i sensi fallaci, la fantasia è l’unica cosa che può aiutarmi a percepire quella parte della realtà che è invisibile. Solo la fantasia mi permetterà di superare questa terrificante e disumana realtà e di conoscere quella parte che si cela oltre il velo fallace dell’apparenza.  Il mondo attorno a me è permeato di realtà oscura, come oscura è la materia che permea l’universo e che tiene insieme il cosmo.

La nebulosa M42 di Orione fotografata con il mio 155 edf
Una materia imperscrutabile, ignota, ma la cui esistenza è necessaria per far si che il cosmo sia quello che è, altrimenti tutto crollerebbe. Ed ecco che in soccorso della mia anima smarrita ed impaurita arrivano tenui grani di roccia racchiusi in fragili bottiglie di vetro miracolosamente intatte dopo la scossa che tutto ha distrutto. Essi sanno di vento libero di correre tra i monti e gli wadi, di notti insieme alle stelle, di pedalate in piane sconfinate, di folletti che popolano gli erg e gli chott, di giorni in solitudine ma pieni di compagni, di caldo soffocante ma che rinfresca la mia anima, di arsura che appiccica la lingua al palato, ma che disseta il mio inconscio.
Ecco anche le rocce, pezzi di leggende che mi ricordano chi siamo e da dove proveniamo. Una biblioteca solida, minerale, ma in cui è scritto indelebilmente l’origine degli dei e dell’uomo, il suo passato, il suo presente e che ci ammonisce sul nostro futuro.

Rocce che provengono dalle vette dell’Africa dove il dio delle nuvole ( Kilimangiaro) elargisce magnanimamente la vita, dalle vette dell’Asia dove Shiva e Parvati ballando e cantando con le vibrazioni creano il mondo ed il cosmo. Rocce che hanno visto il Signore scendere nella mente degli uomini, rocce che hanno cullato la nascita di Zeus. Rocce che provengono dalle più remote lande del cosmo, meteoriti che hanno visto mondi nascere e morire ed ora sono tra le mie mani.
Un meteorite, raccolto nel Sahara. Questa roccia conosce segreti che noi stiamo affannosamente studiando, ed ora è nelle mie mani....

 Ora so perché sono salito sfidando la sorte. Forse inizialmente ero all’oscuro del vero motivo. Volevo una ragione per sperare ancora, ma non sapevo dove trovarla. Seguivo il mio istinto, quell’istinto che mai mi ha ingannato e che anzi, mi ha salvato molte volte, ed anche questa volta ha avuto ragione, non sbaglia mai…lui,  non si fa ingannare dalla ragione…lui. Trovo uno zaino, metto tutto dentro, lego il telescopio con fettucce e scendo tra le macerie. Ora può anche crollare tutto, il terremoto può scatenare ancora la sua furia, la sua rabbia. Io ho salvato tutto l’Essenziale, non mi serve più nulla…sono felice..............................

I VVFF salgono con le scale per stabilire la stabilità del palazzo
 
........Mia madre mi chiama, vuole sapere se ho trovato ciò che cercavo. Mi sveglio dal sogno , chiudo la cassa e i ricordi rientrano nelle bottiglie, ognuno al suo posto. I ricordi, fragili come ali di farfalle, scompaiono al di la del soffitto appena accesa la luce, volando sulle nubi, e si disperdono nel deserto…













La tendopoli di Acquasanta dove sono stato per più di un anno

PS: a margine del post mi sento in dovere di precisare una cosa, dato che spesso continuo a sentire e vedere scritto che piccole scosse di terremoto “scaricano” energia e quindi tolgono potenza ad un eventuale terremoto più importante. Passando da una magnitudo ad un’altra c’è un incremento di energia di 32 volte. Anche Chiunque  potrà farsi i conti da solo, sono molto semplici. Comunque un breve calcolo. Quanti terremoti di M 2,5 debbono accadere per scaricare l’energia del nostro terremoto di magnitudo 6.3?
iL MIO AMBULATORIO PER UN ANNO IN UN CONTAINER IN UNA UGGIOSA GIORNATA DI NEVE

Il calcolo è presto fatto. La differenza di magnitudo è (6.3-2.5)=3.8. Quindi bisogna elevare 32 alla potenza di 3.8.  32 elev a 3.8= 524.288. Con 10 scosse al giorno di 2.5 (cioè molte di più di quelle che facevano appena prima del nostro terremoto) ci sarebbero voluti circa 150 anni per scaricare l’energia….MEDIATE gente….MEDITATE. Da parte delle istituzioni dire di non preoccuparsi perché un terremoto sta perdendo energia è ignoranza o malafede? NON POSSO PENSARE SIA IGNORANZA. Una sola considerazione sulla Commissione grandi Rischi sulla cui condanna ci sono state infinite polemiche. "I terremoti non si possono prevedere". Ebbene...se non si può sapere quando accadranno, come si fa a sapere che NON accadranno?

Nel container dove facevo l'ambulatorio e dove dormivo, al mattino l'acqua che colava dal rubinetto non usciva perché era gelata. Meno male che i bivacchi non mi hanno mai impensierito......



 E per finire.......Come avrete già letto nel blog, io sono legato indissolubilmente al mio sesto senso, al mio istinto a cui sono eternamente grato….. La sera prima del terremoto, Franca andò a giocare a casa della sua amica Annamaria, la titolare della famosa farmacia Carli a piazza Duomo la quale abitava sopra la farmacia a fianco della cattedrale di san Massimo. Avrebbero dapprima cenato e poi iniziato un torneo di burraco. All’incirca alle ore 11 ci fu l’ennesima scossa di terremoto, nulla di più nulla di meno delle migliaia che si erano succedute fino a quel momento. Io ero in mansarda intento ai miei hobby. Nulla di allarmante, una magnitudo a cui eravamo assolutamente abituati,  ma c’era qualcosa di diverso, di malefico. Accanto ai classici movimenti sussultori od ondulatori, ci fu un movimento rotatorio, che sommato agli altri due, mi dettero la sensazione che la Terra si stesse liberando degli ultimi ancoraggi che la tenevano ferma, che la imprigionavano. Ebbi la netta impressione che il Titano si stesse liberando delle catene, scrollandosi di dosso le ultime maglie.

             Nella foto il Duomo con il tetto e la cupola distrutta. La farmacia è a sn del Duomo
La prima cosa che feci telefonai a Franca e le dissi che quella scossa non mi convinceva e la invitai a prepararsi al più presto dato che sarei andato a riprenderla, perché almeno casa nostra era di cemento armato e presumibilmente più resistente delle antiche mura della sua casa nobiliare. Presi un casco per lei, misi il mio casco in testa e passando per il corso, mi recai alla piazza. Incontrai i soliti amici che interpretarono il fatto che io portassi il casco  come un indice di paura. Andammo a casa e ci mettemmo a dormire. Alle ore 1,15 ci fu una nuova scossa, senza grossi problemi, io la sentii appena, ma le amiche di Franca si agitarono molto perché dissero che se io ero andato a riprendere Franca ci doveva essere una grave ragione, qualcuna scoppiò in lacrime. Comunque andarono tutte via. Alle ore 3,32 ci fu il Terremoto, Annamaria, l’amica di tutti, la “farmacista” per antonomasia, sempre sorridente, morì nel crollo del pavimento mentre era intenta a mettere a posto la casa dopo la cena…….


 

mercoledì 4 settembre 2013

JAISALMER ED IL GRANDE DESERTO DI THAR



                                                                                                                                                        La natura ci viene incontro a braccia aperte
E ci invita a godere della sua bellezza;
ma a noi incute spavento il suo silenzio
e accorriamo nelle città affollate
dove ci accalchiamo come pecore
in fuga da un lupo feroce…. ( Kalhil Gibran)
 


Il Deserto di Thar , noto anche come il Gran Deserto Indiano, è una grande ed arida regione nella parte nord-occidentale del subcontinente indiano. Con una superficie di oltre 200.000 chilometri quadrati, è settimo deserto a livello mondiale per estensione. Si trova in gran parte nello stato indiano del Rajasthan, e si estende nella parte meridionale degli stati indiani del Punjab, Haryana e Gujarat settentrionale. In Pakistan il deserto copre la regione orientale delle provincia del Sind e la parte sud-occidentale del Punjab. Il Deserto Cholistan confina con il deserto Thar sempre nella provincia pakistana del Punjab. ( da wikipedia)

 Sono ore che viaggiamo in mezzo a campi rossi di peperoncini, in mezzo a case fatiscenti, bufali che si gongolano nelle pozze create dal vivifico monsone.

Su tutto dominano le macchie multicolori delle donne che lavorano nei campi immerse in dimensioni atemporali, del tutto estranee al tempo occidentale.

 I contadini misurano il loro tempo con orologi diversi le cui lancette si muovono obbedendo alle  gambe dei buoi che tirano gli aratri, alle nuvole del monsone, alla luna che ogni mese assiste alla crescita del grano. Il contadino non ha tempo per rincorrere il nostro tempo che ci sfugge sempre più velocemente, ha ben altre cose da fare, lui. La meta è il grande deserto di Tar e la sua città più importante, Jaisalmer. 

 Una città, magica, “la città d’oro” quando fu fondata 1000 anni fa, fu costruita in blocchi di arenaria indistinguibile dalle sabbie del deserto da cui essa era nata. Nei secoli acquistò enorme importanza come centro delle vie carovaniere provenienti dalla Persia.

Poi il porto di Bombay distrusse le carovane e con esse diminuì l’importanza di Jaisalmer che cadde nell’oblio, ingoiata da quello stesso deserto che le aveva dato vita. Questa forse fu la sua futura fortuna perché rimase imbalsamata nel tempo come una mummia preziosa. Ed ora eccola li, davanti a me…



...come una nave gigantesca si erge dalla pianura desertica, nel caldo opprimente di un pomeriggio umido di monsone, innalza le sue 99  torri come i camini di un immenso Titanic, sfida il deserto. 99 torri, cosa ricorda a noi aquilani tale numero?



 Entro nella porta del forte, salgo le sue strade polverose, mi immergo in una atmosfera magica, lontana mille anni luce dalla nostra vita, cammino tra le strette strade della città,

tra mucche che non lasciano spazio per passare, attente a mantenere ben stretto il territorio conquistato,

 tra bambini vocianti, donne che lavano i panni e le suppellettili davanti le loro case, maiali che si bagnano nei rivoli ai fianchi delle stradine.






Un tripudio di colori, donne in saree colorati, mucche bianche, nere, tutto integrato nell’unico colore ocra della città. Ocra i muri, ocra le strade, ocra le gole degli abitanti intrise di polvere ,


 ocra il cielo in cui svolazza la sabbia trasportata dei venti dei monsoni, ocra  il sole incellofanato dal deserto che sovrasta ogni cosa, ogni anima, ogni pensiero. Tutto ingoia, tutto travolge, il deserto.


La sua immensa presenza si sente in ogni più remoto angolo della città. Nei campi il deserto è la vita e la morte, tutto è immerso in esso. Qui l’uomo tenta di conquistare un suo misero spazio, ma tutto è inutile, il suo urlo penetra tra le vie anguste a protezione della psiche, da dove lo sguardo non può uscire, ma il deserto è il padrone, il vento penetra, il caldo invade, la polvere scorrazza tra le calli. Nessuno può sfuggire all’alito del deserto.


Cammino, mi immergo in un tempo senza tempo, incontro qualche turista che si lamenta e che è impaziente di tornare in albergo. Sono dispiaciuto per loro che non godono di questo posto fiabesco, che non riescono a penetrare in questa favola che il tempo ha conservato per noi.


La città sembra una rappresentazione di vita medioevale come spesso viene ricordata nei nostri borghi, ma qui è tutto vero. Due bimbi lustrati a puntino sono pronti per la scuola.


Gli abitanti lavano, lavorano, tessono, puliscono, dipingono, cucinano come se non ci fosse nessuno. Invece  ci sono spettatori, passanti, turisti, ma essi sono trasparenti, invisibili. Arrivo al tempio Jainista.


La sua sala delle preghiere è magnifica. Sculture in ogni più piccolo anglo, tutta la sala è una scultura.


Ma non mi interessa la descrizione, quella lasciamola alle guide di cui internet è piena. Io sono al tempio per il rito. Il sacerdote ha la bocca coperta per evitare di ingoiare qualche insetto e quindi ucciderlo.


La vita è sacra, per loro, in ogni forma. Hanno una scopetta che usano quando camminano per evitare di calpestare qualche insetto di cui il terreno è pieno.  Mi faccio benedire dopo aver effettuato il rito, non si sa mai, meglio una benedizione in più che una in meno, anche se sono ben mondato dopo l’immersione nel lago sacro di Puskar.   http://viaggievisioni.blogspot.it/2013/03/prima-del-grande-deserto-il-lago-sacro.html   Saluto il sacerdote e mi avvio nella città bassa.

Un mercato multicolore si apre come un quadro, donne colorate,sedute a terra si confondono con i colori della frutta e degli ortaggi. Viaggio tra la realtà e la fantasia in mezzo ad uno scenario di case intessute come merletti, con donne affacciate a finestre che sembrano scenari di un set cinematografico.

Merletti cuciti nella roccia, una tecnica incredibile, finissima. Sembra impossibile che qualcuno possa aver scolpite tali facciate.

La roccia inerte, senza vita, dura, disumana, diventa un velo leggero, sembra volare nel vento eterno del deserto, un velo che ricopre le case, le alleggerisce, un tombolo immenso....

.... una favola in cui si può passeggiare, ammirare, meravigliandosi angolo dopo angolo, vicolo dopo vicolo. E sulle pareti, dipinti rappresentanti Ganesha, il dio con la testa di elefante, il pronubo di ogni cosa che inizia, la data dell’evento ed il benevolo dio che benedice coloro che vi abitano.

Un matrimonio, l’ingresso in una nuova casa, una nascita, un nuovo lavoro, tutto deve essere benedetto dal simpatico Ganesha
 
http://it.wikipedia.org/wiki/Ganesha . Fotografo, guardo tentando di immergermi nella cultura del luogo di cui ho studiato le abitudini, tento di muovermi nella città come un Rajiput, immedesimandomi in un indu. Ora è il mese dedicato a Ganesh e proprio oggi è il giorno più importante. Chissà, forse il dio potrebbe anche non esistere.

Forse la voglia di iniziare, la voglia di vivere felici, di andare avanti con ottimismo la dobbiamo trovare semplicemente dentro di noi, ma una cosa è certa. Qui quella forza proviene da Ganesha.  E non chiediamoci sempre le cose, lasciamo che il dio elefante ci dia quella forza, diamogli la soddisfazione di avercela data lui, quella forza….cosa ci costa?

Forse un giorno nessuno gli darà più quel merito perché gli uomini non crederanno più a Ganesha, l’uomo tutto distrugge, la sua potenza deve superare ogni cosa. Allora anche Ganesha scomparirà, come già sono scomparse le fate, gli stregoni, le favole. E con cosa le abbiamo sostituite ? 


 Scendo, giro un vicolo ed eccola li, INA, una bimba bellissima, con il suo vaso di terracotta in testa, in mezzo ad altri bambini che tentano di accalappiare i turisti e rubare loro qualche scatto fotografico o di accompagnarli ai molteplici negozi di argenti. 

 Ina che attende in mezzo alla via assolata di Jaisalmer senza chiedere nulla, senza  porgere la mano con il palmo in alto in attesa che ci piova sopra qualche miserevole rupia. Ina porge solo la sua infantile bellezza, il suo flessuoso  ed elegante incedere, il suo sorriso.

 Ina non cerca nulla, dona un alito di vento fresco a noi miseri turisti che invece rubiamo una foto, un pezzo di vita, un ricordo da esibire nelle cene tra amici come fosse un trofeo di caccia.  Ci dona un momento di catarsi per mondarci della colpa che abbiamo verso chi è meno fortunato di noi, la colpa di poter comperare tutto con il nostro denaro.


Uno scatto ed Ina è con noi per sempre, la porteremo sempre con noi quella bimba con il suo vaso di terracotta, in mezzo ai maiali, nella polvere gialla di Jasalmer in un torrido pomeriggio di agosto.Quando la guarderemo, chiusi nelle nostre gabbie dorate, fresche, linde e pulite, quel vento ci riporterà ancora laggiù e spereremo di incontrarla ancora.

Ma chissà ora cosà sarà stato di Ina, forse ormai sarà nei campi a contendere i frutti all’arido deserto. Forse sarà madre, forse lavorerà, ma  a me piace credere che nel tempo immutabile di Jaisalmer, li dove tutto sembra essersi fermato, dove il deserto è padrone del tempo, anche Ina sia rimasta la bimba bellissima con il suo vaso di terracotta in testa.  
A Jaisalmer la nostra guida viene affiancata da una guida locale che porterà i più “ avventurosi” di noi a vedere il deserto. Io gli chiedo di poter usufruire del fuoristrada e poi di poter andare da solo.

La guida si impone che ciò non potrà essere possibile. Il deserto di Thar è un deserto pericoloso, ci sono tempeste, sabbie, dune insuperabili. La ci si può perdere facilmente e nessuno sarebbe in grado di ritrovare un disperso in tempi idonei a salvargli la vita, prima che il deserto abbia compiuto la sua opera di distruzione. Certamente sono considerazioni fantasiose, forse con il solo intento di spingere i facinorosi a servirsi delle guide locali. Mi sembra irremovibile, non ho più argomenti per smuoverlo dalle sue decisioni. Ma poi arriva Franca che con una sola parola convince la burbera guida. “ Non si preoccupi, tanto torna sempre…”. Credo di averci intuito un velato senso di rassegnazione…..!!!! Purtroppo nel tour organizzato, non ho giorni a disposizione per poter fare ciò che mi piacerebbe, devo ritagliarmi questa giornata per andare ad “annusare” il Grande Deserto, sarà poca cosa, un solo giorno di cammino, ma meglio che niente…. Ed eccomi qui, sul fuoristrada, insieme ai turisti, vestiti da “turisti”, con la solita sete da “turisti”, il solito caldo da “turisti”, la solita apprensione da “turisti”, il solito ostentato coraggio da “turisti”, la solita saccenza da “turisti”, con magliette e cappelli svolazzanti, foulard per la sabbia, calzoncini a mezza gamba, con le bottiglie di acqua in mano. Io come al solito parto con i soli calzoncini ed uno zaino con qualche copertura per le tempeste di sabbia che si intravvedono all’orizzonte, portate dal monsone estivo che imperversa sul deserto da giorni.

Passiamo per un magnifico lago ripieno dalle acque monsoniche e finalmente, a 60 km da Jaisalmer eccoci giunti, tutti scendono ed io mi accommiato dalla policroma comitiva. Siamo vicinissimi al confine pakistano e le postazioni militari sono pronte per ogni evenienza

La guida mi saluta come si potrebbe salutare un condannato a morte, facendosi udire a bella posta da tutti. Le sue ultime parole sono di come farò ad orientarmi. Nel deserto non si può chiedere la strada.  “Ci penserà Shiva, Ganesh è con me….” E vado….. Devo fare un tragitto a semicerchio per poter essere recuperato a tarda serata. Purtroppo un tragitto non lineare è un po più complesso da seguire, ma non mi preoccupo affatto.



Incontro un nutrito gregge di pecore, mentre i saree colorati sono stesi ad asciugare agganciati ad arbusti di spine per non essere portati via dal vento.


Ancora qualche pianta, qualche arbusto sparuto e poi …..più nulla ….nulla ….solo sabbia …sabbia … dune …dune, dietro di me solo le mie tracce..


Mi incammino nel territorio di Shiva, il dio della vita, della rigenerazione, con il suo “lingam” sempre eretto, simbolo di potere creativo. Cammino immerso nel vento del deserto, ma anche nel vento selvaggio di Shiva, del cambiamento, della vita stessa.

  Ancora si vede all’orizzonte il mio punto di partenza, ma poi le dune lo ingoiano e mi ritrovo circondato completamente dalla sabbia. Io sono abituato alle barcane, dove la forma delle dune segue la direzione del vento, dove le dune stesse sono come un ago di una bussola, dove si può interpolare la posizione del sole e quella delle dune ricavandone con precisione il tuo cammino.

Sono un momento spaesato, mi fermo a riflettere, forse aveva ragione la guida. Lui probabilmente sapeva che queste dune hanno creste che seguono e disegnano il vento che qui, però, è variabile. I monsoni hanno direzioni opposte e la sabbia si comporta come una penna in mano ad uno sprovveduto scolaro che non sa disegnare.

Forse i nomadi sanno decodificare questo problema, ma per me è nuovo. Decido che non posso orientarmi con le dune, dovrò farlo con il sole. Ma non potendo seguire un percorso rettilineo, devo deviare verso sinistra di un determinato angolo rispetto all’ombra che comunque devia anch’essa in direzione opposta man mano che procede il giorno.

 E’ un bel problema. Se sono fortunato potrei fare un errore di almeno 4 o 5 km al punto d’arrivo e non  è detto che da quel punto si veda la mia meta. Purtroppo non so se l’errore è a destra o a sn….. Per di più il sole è offuscato dalla sabbia sollevata dal monsone e devo stare attento ad essere accorto a memorizzare la sua posizione nel caso dovesse essere completamente coperto. Chiaramente non ho la bussola con me. Ma è inutile preoccuparsi, meglio andare avanti perché non avrebbe senso tornare indietro visto che il fuoristrada ormai li non c’è più e a nessuno verrebbe in mente di recuperarmi in quel punto.

 Una foschia densa di pulviscolo sommerge tutto il deserto. Il vento del monsone alza piccole tempeste che tuttavia per ora non oscurano il sole, anzi come un filtro, esso può essere perfettamente osservato senza occhiali. Come la nebbia che  in un campo di sci trasforma tutto in un biancore livido, qui il cielo giallo si confonde con la sabbia, tutto è giallo, tutto è sabbia….oppure tutto è cielo. Si può decidere se si sta camminando nel deserto o volando tra le nubi. Il sole prosegue il suo tragitto nel cielo ed io aggiusto continuamente il mio procedere, per ore.


Mi fermo per farmi l’unica foto con  il vento che trasporta a livello del terreno i grani più pesanti e che solleva in alto il più leggero pulviscolo.  E’ inutile continuare a descrivere il tragitto in un mondo tutto uguale, in una monotonia magica, in un palcoscenico minerale dove ogni granello di sabbia nasconde un mondo universale. In un ambiente dove inaspettatamente piccoli e radi fili d’erba si ergono al disopra delle sabbie quasi per un miracolo della natura, quasi una testimonianza della forza invincibile della vita.




Qualcosa si intravvede laggiù all’orizzonte, una fascia scura che man mano che procedo sembra allargarsi. Chissà dove sarò finito…. Chissà. Questo è quello che mi piace di più. Essere totalmente dipendente solo da me stesso, aver percorso il "MIO" tragitto, aver scelto la "MIA" via, senza costrizioni, senza sentieri, senza strade.


Questa incertezza mi mette a mio agio, mi fa sentire padrone del mio destino, quando il nostro destino, a casa nostra, dipende sempre da qualcun altro che spesso, anzi quasi sempre, non possiamo controllare.


Ormai il sole sta solo attendendo qualche ora prima di riposarsi dentro il deserto, quando io scendo l’ultima duna prima della pianura. Il deserto non lascia la sua presa, ma ho superato le dune.

Poi all’improvviso, un cumulo di sassi giallo, un tetto di paglia. E’ un misero villaggio, mura dirute, un muretto a secco separa il villaggio dal deserto, poche capre scorrazzano mangiando chissà che cosa. Tutto è morto, nessun suono, nessun segno di vita aleggia sulle capanne.

Mi avvicino, un uomo lavora alla costruzione di un tetto, si accorgono di me, la donna sembra rifugiarsi e nascondersi sotto il muro. Ho letto che qui è il territorio delle tribu Bishnoi. Sono questi un popolo molto fiero delle loro tradizioni. Sono “ ecologisti” per eccellenza. Hanno regole severissime di rispetto della natura. Si fecero massacrare per salvare gli alberi, non scavano nella terra se non dopo aver tolto tutti i lombrichi e gli insetti. Si dice che la peggior cosa che possa capitare ad un cacciatore, in India, non sia quella di incontrare, disarmato,una tigre, ma di imbattersi in  un Bishnoi.

Sono molto conservatori e non permettono ad alcuno di entrare nei loro villaggi per mantenere intatta la loro identità. MI inoltro nel villaggio e come al solito, come cani da guardia, eccomi avvistato da una colonia vociante di bimbi.


Accorre un uomo dall’aspetto austero, dalle vesti bianche e turbante arancione. Intanto il villaggio si è radunato ben lontano da me,  mentre il notabile mi si avvicina a grandi passi per nulla rassicuranti. Come farò ad intendermi? Ma le vie del signore sono infinite ed io ho da parte mia il grande dono di non sapere l’inglese, quindi praticamente devo sapermela cavare a gesti e disegni. Dell’arabo conosco moltissime frasi fatte che posso adattare ad ogni occasione, ma qui siamo in India e ci sono 22 lingue ufficiali e 800 dialetti riconosciuti e pochi, nella vera India, conoscono il maledetto ed odiato inglese.

 Ma ora eccomi di fronte al capo villaggio che mi intima di fermarmi e mi impedisce l’ingresso. Dopo pochi minuti capisco che l’impedimento è perché io sono vestito di sole “ mutande”. Protesto adducendo che in India ci sono i Jainisti che si dividono in due categorie, quelli vesti di “ bianco” e quelli vestiti di “aria”, cioè vanno in giro totalmente nudi, non possedendo alcun bene terreno. Girano nudi anche in città. Perché mai io dovrei essere sconveniente? Mi risponde dicendo che la loro nudità glielo impone la loro religione, ma lui non capisce quale religione imponga di andare in giro in mutande….. non so cosa rispondergli, ma poi mi dico che in effetti io non potrei mai entrare in chiesa vestito così.


Mi accingo a mettermi una canottiera e gli dico che in questo modo sono degno di entrare nei nostri templi.
A mente fredda comprendo ora che il capovillaggio semplicemente non aveva avuto modo di “ inquadrarmi”, di mettermi in una casella in cui lui potesse capire se avessi potuto essere di danno alla comunità. Il peggior peccato, in India, non è quello di non esser indu, ma quello di non “appartenere”.

Ora lui aveva capito e come per miracolo, tutti mi circondano, si mettono in posa da grandi attori.

 Accorrono donne con bambini in braccio,

 bimbi con bimbi in braccio,

torme di bimbi,



 sorrisi, colori.....


Poi è tempo di accomiatarmi, devo andare, il capo villaggio mi saluta e mi assicura che la strada ormai è lontana qualche km.
Tutti mi salutano, mentre mi allontano vedo i bimbi ridere, giocare.


Dall’altra parte del villaggio incontro una pozza d’acqua e molte donne sono intente a trasportare l’acqua con i caratteristici contenitori di metallo.

 Non vorrei andare via, ma la notte incalza, ecco la strada e come per miracolo, ecco la jeep con la guida che appare stupita di vedermi vivo.

Mi volto indietro quasi per fissare nella mia mente un’ultimo fotogramma. Il sole tramonta dietro le nubi del monsone che gonfia all’orizzonte  foriero di nuove, vitali e vivificanti piogge.

 
. Queste sono le leggi Bishnoi. ( Bish = 20, Noi 0 9). Leggetele attentamente la n. 18 e la n.22, ma guardate anche la 18, la 4…e tutte le altre… alcune  sembrano come le nostre….MA LORO LE RISPETTANO RIGIDAMENTE.

1) Tees Din Sutak: osserva 30 giorni di sutak – impurità rituale – dopo il parto e che madre e figlio siano in quel tempo esclusi dalle attività casalinghe.

2) Panch Rituvanti Niyaro: durante il ciclo mestruale la donna sia esclusa dalle attività casalinghe per 5 giorni.

3) Sairo Karo Sinan: fai un bagno ogni mattina

4) Sheel, Santosh, Suchy Piyaro: mantieni il buonumore, sii contento e conserva la purezza e la pulizia

5) Dwi-Kal Sandhya Karo: prega due volte al giorno ( mattina e sera)

6) Sanjk Aarti Gun Gao: canta inni di lode al Signore la sera

7) Hom Hit, Chit, Preet Su Hoy: fai offerte al sacro fuoco con sentimento di benessere, amore e devozione

8) Pani, Indhan, Dudh Ne Lije Chhan: usa acqua e latte filtrati e bolliti per renderli liberi da impurità e insetti

9) Bani Ne lije Chhan: pensa prima di parlare

10) Ekshma Hirde Dharo: perdona di cuore

11) Daya Hirde Dharo: sii compassionevole, gentile, comprensivo di cuore

12) Chori Barjiyo: è proibito rubare o utilizzare beni altrui senza permesso

13) Ninda Barjiyo: è bandita la critica malevola

14) Jhuth Barjyio: è proibita la menzogna

15) Bad Na Karno Koy: non indulgere in inutili controversie/dispute

16) Amawas Vart Rakhno: digiuna negli Amawas ( l’ultimo giorno di luna calante di ogni mese)

17) Bhajan Vishnu Batayo Joy: adora e recita il nome di Vishnu con devozione

18) Jeev Dala Palany: sii compassionevole verso tutti gli esseri viventi

19) Runkh Lila Nahi Ghave: non tagliare alberi verdi

20) Ajar Jare Jeevat Mare: vinci il tuo Ego

21) Kare Rasoi Hath Su: mangia cibo casalingo, non mangiare cibo cucinato o conservato in maniera impura.

22) Amar Rakhave That: offri rifugio agli animali abbandonati, affinchè questi possano terminare con dignità le loro vite e non venire uccisi

23) Bail Badhiya Na Karave: non castrare i tori

24) Amal Su Dur Hi Bhage: non commerciare in oppio

25) Tamakhu Su Dur Hi Bhage: non fumare nè usare il tabacco e i suoi derivati

26) Bhang Su Dur Hi Bhage: non consumare o trafficare in narcotici

27) Madh Su Dur Hi Bhage: non consumare o trafficare in alcolici

28) Mans Su Dur Hi Bhage: non mangiare carne o cibo che non sia vegetariano

29) Leel Na Lave Ang: non utilizzare il colore blu-violetto, estratto dalla pianta dell’Indigo ancora verde.